Di SF su Lunedì, 18 Gennaio 2021
Categoria: IN EVIDENZA

TheNewsletter N.21 (Pills) - Empatia, Generazione Z, protezione online e molto altro...

Il ricorso alla tecnologia informatica è diventato una costante pressoché imprescindibile della vita quotidiana di ciascuno di noi.

Al di là del fatto che non sarebbe immaginabile al momento ipotizzare una vita lavorativa o sociale senza gli strumenti informatici, non si possono sottacere le conseguenze sul versante penalistico che il ricorso a tali strumenti porta con sé. Il legislatore ha, infatti, introdotto nuove fattispecie delittuoso, inquadrabili nella categoria generale dei reati informatici, il cui contenuto è opportuno conoscere per orientare in maniera consapevole la propria condotta.

Tra le fattispecie introdotte, in particolare, merita particolare attenzione quella che incrimina la condotta di accesso abusivo ad un sistema informatico. L’art. 615 ter c.p., infatti, punisce chiunque si introduce abusivamente in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha diritto ad escluderlo.

Questa fattispecie è stata recentemente oggetto di esame da parte della Corte di Cassazione. In particolare, i Giudici sono stati chiamati a pronunciarsi sul fatto se commette la fattispecie in esame il professionista che, pur avendo le chiavi di accesso al sistema informatico dello studio ove lavora, accede per il perseguimento di finalità estranee a quella lavorativa. Nel caso di specie, il professionista era entrato nel sistema informatico per accaparrarsi del materiale da utilizzare per l’avvio di una propria attività professionale.

Posto che è pacifico che la fattispecie appare integrata dalla condotta di chi accede al sistema senza averne le chiavi oppure contro la volontà di colui che ha il diritto di escluderlo, il caso in esame appare peculiare: chi accede, infatti, possiede le chiavi di accesso, eppure entra nel sistema informatico per finalità diverse da quelle ammesse.

La Corte di Cassazione ha affermato che anche in questo caso il soggetto potrebbe essere incriminato per il reato di accesso abusivo al sistema informatico ex art. 615 ter c.p.

Se, dunque, in un determinato sistema informatico sono archiviati i dati relativi all’attività professionale comune, l’accesso non può essere effettuato per finalità estranee al perseguimento dello scopo sociale.

In definitiva, commette il reato di accesso abusivo al sistema informatico il professionista che, pur in possesso delle chiavi di accesso ad un sistema informatico, vi accede per il perseguimento di finalità esclusivamente personale (come, nel caso di specie, per accaparrare materiale utile per l’avvio di un’autonoma attività professionale).

Un'anziana signora entra in un negozio chiedendo una coperta per l'inverno.

Il venditore si avvicina alla signora mostrandole una serie infinita di coperte e iniziando un'interminabile sequela di
spiegazioni sulle caratteristiche delle coperte.

L'anziana signora ascolta il venditore, attende la fine del suo discorso e chiede: "Ma è abbastanza calda?" (l'anziana signora vive in una casa in campagna molto grande)

Il venditore coglie la palla al balzo per elencare tutti i possibili dettagli tecnici e spiegare perché le loro coperte sono le più calde di tutte.

Questa volta la signora non attende la fine del discorso e interrompe il venditore dicendo: "Volevo solo sapere se riesce a tenere al caldo questa povera vecchia signora"

MORALE:
Da questa semplice storia possiamo capire due cose molto importanti sulla vendita:

1. La vendita non si basa mai sulle caratteristiche tecniche a meno che non si parla di beni di largo consumo. Le persone decidono di acquistare per tanti motivi e quasi mai sono gli aspetti tecnici. Acquistano per estetica, per utilità, per simpatia, ma sopratutto per i BENEFICI. Raccontare i risultati, ciò che possiamo portarci a casa (il calore in una giornata fredda) farà della nostra coperta il prodotto più desiderato in assoluto.

2. I Tecnicismi, non piacciono a nessuno a meno che non si stia parlando con persone già esperte e consapevoli. Se elenchiamo caratteristiche e tecnicismi difficilmente comprensibili non faremo altro che allertare il nostro potenziale cliente. Il non capire ci fa sentire presi in giro o raggirati perché non si conoscono i dettagli e non si è in grado di giudicare se ciò che ci stanno dicendo sia vero o meno. Il potenziale cliente riconosce subito in te l'immagine di un "venditore" e si mette sulla difensiva. Spesso le persone cercano solo empatia e rassicurazioni.

La Generazione Z, in breve Gen Z, è la generazione dei nati tra il 1997 e il 2012.

Siamo ormai tutti ferratissimi sulle definizioni, ma il perché questa generazione di ragazzi desti tanto interesse in pochi se lo chiedono!

Ebbene sì, sono la prima generazione nativa digitale! Cosa significa? Significa che sono nati e cresciuti con il digitale a portata di mano! Strumento che non ha bisogno di presentazioni! Il digitale sta cambiando il mondo, l’informazione, i consumi, i trasporti e le abitudini in generale.

Le domande che quindi desidero fare sono: saranno forse la prima generazione di un cambiamento comportamentale enorme? Daranno il via a nuovi modi di pensare? Rivoluzioneranno i fondamenti della storia moderna? Mi spiego.. se 20 anni fa desideravo andare al campetto di calcio a giocare con gli amici, è giusto pensare che un ragazzo di 10 anni oggi desideri la stessa cosa per divertirsi? E se desiderasse qualcosa di diverso, con il digitale come strumento, tra 20 anni che persona sarà?

C’è chi pensa che avranno bisogno di robot che gli preparino la cena perché non sapranno nemmeno come usare i fornelli e chi invece che salveranno il mondo da catastrofi, perché molto più attenti ai consumi green, agli sprechi ed alla salvaguardia della natura in generale.

Purtroppo nessuno di noi potrà mai sapere quali grandi cambiamenti ci aspetteranno, se non tramite qualche approssimazione statistica.

Quello che è certo è che siamo chiamati al buon esempio! All’etica ed ai valori! non di certo a demonizzare il loro punto di vista che, per definizione, è diverso dal nostro.

C’è un fattaccio che riguarda la comunicazione via email che è alla base di numerose incomprensioni e conflitti: da un punto di vista tecnico scriviamo, ma molte caratteristiche dei testi che produciamo sono più simili a quelle del linguaggio orale.

Se ci pensate bene, infatti, una corrispondenza via email altro non è che un dialogo in forma scritta. Ma del dialogo a voce mancano un sacco di elementi, fra cui quelli paraverbali come i gesti delle mani, le espressioni del viso e soprattutto il tono di voce.

Non è raro quindi che alcune parole vengano interpretate in modo ostile da chi riceve l’email; e questo nonostante l’intenzione comunicativa di chi scrive non fosse assolutamente quella di risultare odioso/a o sgarbato/a.

Alcune parole corrono questo rischio più di altre e una coppia di (quasi) sinonimi è ai primi posti di questa classifica: ovviamente/naturalmente.

Fateci caso, quando in un’email rivolta a voi – e soprattutto nei commenti a qualcosa che avete fatto – leggete questo avverbio («ovviamente quel documento non era da allegare all’invio»), un pochino di sangue sale al cervello. È normale, se ci pensate bene: tendiamo a leggere quell’ovviamente con un tono supponente e questo ci ferisce o fa arrabbiare perché ci sentiamo sminuiti in qualche modo.

Quindi da oggi in poi, quando avrete la tentazione di scrivere un ovviamente in un’email rivolta a un collega, un collaboratore, un fornitore, pensateci 3 secondi in più e sostituitelo con un’altra formula meno foriera di conflitto.